S.d.f.panoramica sulle opere di Federico Caramadre

 

Collezione fotografica di Federico Caramadre

A Parigi, tra il 1993 e il 1995, ho girovagato spesso senza una meta precisa con una macchina fotografica al collo.

Una pellicola bianco e nero, 35mm, una reflex, rigorosamente senza flash, in condizioni di luce quasi sempre estreme e senza guardare in macchina, camminando. Poi giravi l'angolo, o scendevi dal vagone metro, o finivi lo scalino di una mobile, allora, in quel preciso momento, ti arrestavi, e non potevi fare a meno di scattare. Non chiedetemi come, ma pur tenendo quella macchina all'altezza del collo sentivo precisamente quello che stavo fotografando, come lo inquadravo, e avevo la certezza di ciò che avrei poi rivisto in camera oscura. Un modo per fissare un'emozione, piccola, mia, contingente a questioni di fatti, luoghi, persone, semplici suggestioni. Un modo per registrare l'ennesima epifania, che m'arrivava così, d'improvviso, ma non mi coglieva mai impreparato all'appuntamento, e ogni volta ne subivo tutto il fascino, tutto il racconto non detto, al punto di volerne condividere gli spunti, un domani, a casa, con gli amici, o un altro giorno, in una mostra dove artisti e critici si sarebbero soffermati su questo o su quel dettaglio tecnico, insignificante, oppure qui, ora, con voi.

 

Cosa andavo a cercare?

Mattina, ti svegli, già all'alba, pensi di fare colazione, ti affacci, comignoli che fumano, e tetti, a perdita d'occhio. Questo spicchio di città che vedo dalla finestra è tutto un saliscendi. Mangi qualcosa, torni a letto, uscirai più tardi. Poi via, sciarpa, giubbetto di pelle, sopra una giacca, cappello, e macchina fotografica. Dove andrò oggi?

A cercare Nadja, tutte le sue tracce, quello che resta dei luoghi narrati e delle suggestioni di un romanzo di André Breton ambientato per lo più a Parigi, "Nadja", appunto.

A cercare location per il mio film, quello che ho tutto in testa, e che vedo qui, davanti a me, ogni istante che passa.

A fotografare i senza tetto, popolazione sotterranea di una grande metropoli fatta di cunicoli e luci al neon.

A registrare cartoline per gli amici, per raccontargli con un'immagine dove sono finito e cosa sto guardando.

A ritrovare tracce della mia di storia, quella che deve ancora essere, e che qui è stata già scritta con l'inchiostro guidato dal sangue d'altri tempi, dietro i passi che seguo di una donna uscita da un vagone metro, dietro il sorriso di un bancone di un bar dove mi fermo un attimo a ingurgitare bustine di zucchero prima di ripartire, in uno sguardo di là dalla banchina della Senna, o sotto un'architettura futurista che ingoia ogni tuo pensiero e spalanca le fauci alla meraviglia.

Federico Caramadre Ronconi

 

1. Nadja

Estratto da: "La dance de l'araignée"; Federico Caramadre - 1995

" « ...Allora è partito, lei non lo ha più visto? Tanto meglio ». Mi dice il suo nome, quello che si è scelto lei: « Nadja, perché in russo è l’inizio della parola speranza e perché è soltanto l’inizio ». "

Amico caro, al di là dei numerosi tracciati che sono stati imposti alla città di Parigi, ti spedisco la chiave per ricavarne uno nuovo e tutto tuo, itinerario discontinuo, duplice e sotterraneo, che potrai decidere o meno di seguire. Fra te e Breton ci sono delle affinità: i vostri "pomeriggi completamente inoperosi e piuttosto tetri" di cui avete il segreto, le vostre case che trascendono quelle nelle quali si vive di solito, di vetro la sua, di latta la tua, e poi quel dondolare privo di finalità che ti accomuna a lui, certi che sarà il caso a portarvi incontri che alla sua logica appartengono. Troverai nel libro molte foto; Breton è così, partecipa di una visione distorta del reale, fornendone poi, come consolazione, una talmente lucida da suscitare diffidenza. Ed io sono diffidente. Lo sono nei tuoi confronti. Qualcosa, comunque, mi lega a te. Prova a leggere dietro le foto. Fammi sapere. Ti bacio.

 

Roma, gennaio 1995

Scritto sulla scorta di un incontro realmente avvenuto nel 1926 e pubblicato nel 1928, Nadja costituisce per Breton la prima manifestazione di un passaggio basilare nell’ambito del discorso fra caso e scrittura. Ma al di là del suo valore nei confronti del Surrealismo e della singolarità della posizione che occupa questo testo nella letteratura europea, resta imprescindibile nel suo scorrere la presenza di 48 illustrazioni, ovvero fotografie, che recano talvolta come didascalia brani rapidamente risolti del libro. Il Nero di Hermes, nel corso di un soggiorno di studio a Parigi, fonte di stimoli già parzialmente rielaborati e di altri dei quali attendiamo lo sviluppo, ha, vorremmo dire semplicemente ma è un avverbio troppo riduttivo, ripercorso tutte le tracce e fotografato i luoghi. Il risultato è assai meno sfuggente del testo scritto, ma di esso conserva il senso dell’enigma e del doppio, a sostegno di una fabula narrativa che "...Disegna così un mito...Che fonda la legittimità del suo sguardo sul banale quotidiano e lo differenzia da altri tipi di sguardo (naturalista, realista, psicologico, contemplativo e voyeuristico): il mito della trasparenza delle origini e dell’inesistenza della colpa, se non come asservimento storico." (Lino Gabellone, Il demone dell’analogia, in André Breton, Nadja, Torino, 1972, p. 147).

Nadja è "anima errante", fin troppo facilmente rintracciabile e le foto del Nero la inchiodano alla sua reale esistenza: la fuga, se tale può definirsi, è meramente progettuale, i suoi luoghi sono riconosciuti e fermati sulla pellicola, la sua flânerie, così squisitamente parigina, ne fa una perfetta compagna di viaggio perché con lei il possibile ed il probabile estendono la loro portata oltre l’angusto limite del nostro pensare la città e, alla fine, la sua regalità, malamente occultata nel corso del primo incontro ("...difficoltà economiche... ...estrema povertà del suo abbigliamento."), emerge prepotentemente dopo poco ("...un cappello molto intonato... ...calze di seta e scarpe ineccepibili."), consentendole l’esercizio di un potere che è certamente onirico, ma che da questa sola sfera esula per toccare l’eros, il caso (così importante per l’autore), il diverso, la divinazione, l’imperfezione del presente e le aspettative che connotano il futuro. Incantatori i risultati di Breton. Intriganti quelli di Le Noir. Fra i due il legame è così prepotente da annullare in un affascinante omaggio i 70 anni che li separano.

"Ho cominciato col rivedere molti dei luoghi per cui passa questo racconto: tenevo infatti a darne, come di alcune persone e di alcuni oggetti, un’immagine fotografica, presa secondo la speciale prospettiva in cui li avevo io stesso considerati. In tale occasione, ho constatato come, salvo poche eccezioni, facessero resistenza alle mie intenzioni di modo che la parte illustrativa di Nadja risulterebbe, per mio conto, insufficiente..." (André Breton).

La Regina
(courtesy Dott. Rosella Gallo)

 

Ho incontrato Nadja da morto, rincorrendola dopo settanta anni tra i viottoli grigi di un languore filtrato dal caso, perso nei dettagli dell’inverosimile nella vagabonda ricerca di quegli elementi, quei segnali soffocati nell’eterno stupore del ritorno. Così lei mi ha parlato, mi ha parlato del mio potere di non vivo e delle mie facoltà infestanti, per lasciarmi ad un recapito la cui mera consapevolezza di un disordine già ordinato non mi regala dubbi che possano altresì logorare il frenetico rintocco volto a deturpare la mia nera coscienza.

F.C.R.

 

2. Il film

Estratto da "La dance de l'araignée"; Federico Caramadre - 1995:

Paris, Novembre 1994

Carissimo amico,

il gioco sta per iniziare. Solo da qualche giorno, dopo aver tanto osservato e riflettuto poco, subisco continui e rapidi attacchi della mia fantasia, ossessive incursioni dell’immaginario che mi assalgono nei momenti più impensati, e in ogni dove.

La strada, gli sguardi fugaci e imprevisti, i corridoi della metro, la regione sconosciuta tra veglia e sonno, i riflessi di volti anonimi sui finestrini dei vagoni, un sorriso sulle scale mobili, una voce alla segreteria, la confusione nei bistrot, sono tutte componenti decisive e ineludibili di questo mio piccolo viaggio attraverso le illusioni del mondo. Vedo nette e distinte, dinanzi, le immagini di quel piccolo sogno che vorrei incastonare nella pellicola, brevi fotogrammi della mente che invadono anche i miei pensieri più banali. Sento chiaramente la presenza-assenza della lunga ala che mi sovrasta leggera e mi accompagna lungo il quotidiano peregrinare nei sotterranei di queste genti. L’Angelo Necessario sparge le sue piume come ad indicare la via ed ogni volta una folgorazione viene prontamente annotata sul piccolo vademecum dei desideri, dove la mia compagna stilografica depone instancabile la sua firma.

F.C.R.

 

3. S.d.f.

sans domicile fix

Senza fissa dimora, è una delle raccolte estratte da questa ricca serie di scatti, e di cui, in questa pagina, sono presenti alcuni esempi. Lo spirito della raccolta si potrà meglio ritrovare in un racconto, parte integrante del romanzo "La dance de l'araignée", dal titolo " Le jardin de Lutèce".

scarica il racconto originale

F.C.R.

 

4. Le collezioni

Recensione di Memmo Giovannini

Paesaggi Figure e Passaggi: quasi un racconto.

Lo strumento fotografico rappresenta sempre, per sue stesse caratteristiche intrinseche, una sorta di anello di congiungimento fra due esigenze apparentemente contraddittorie: la documentazione storico-sociale e la ricerca di carattere estetico. Esigenza che l’esperienza fotografica più recente e consapevole ha pienamente messo in luce e variamente composto.

Il lavoro del Nero si pone nel cuore di tale bipolarità: documentaria e semiologica. Le foto raccontano i paesaggi, le figure e i passaggi di varie realtà, tuttavia, al di là di un immediato impatto solo apparentemente documentaristico, esse tendono a cogliere un clima, una spiritualità, un ambiente, un modo di essere, un ritmo incalzante di una sintassi asciutta, che non concede nulla al compiacimento folkloristico. I paesaggi, le figure e i passaggi divengono spie significanti di una esperienza poetica, ricchi di tensioni e inventiva, carichi di rimandi allusivi e culturali. Questa ricerca fotografica va avanti nella narrazione attraverso gli indizi, le tracce di una partitura musicale. Il trabocchetto presentato da soggetti simili spesso è l’enfasi, la retorica: egli lo ha saputo evitare ricorrendo all’allusione, facendo parlare più le assenze che le presenze o palesando a tal punto le presenze da sottintendere un paradosso. Nessuna forzatura, nessuna ricerca del suggestivo senza fine, ma soprattutto attenzione a certi fattori, come la luce e le ombre, che servono a mettere in risalto i significati più profondi dei paesaggi, delle figure e dei passaggi.

Memmo Giovannini

La maison de mon coeur est prête

Et ne s’ouvre qu’à l’avenir.

Puisqu’il n’est rien que je regrette,

Mon bel époux, tu peux venir.

Verlaine

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5. Tracce

Estratto da "La dance de l'araignée"; Federico Caramadre - 1995:

"Elle me parle. Elle me parle à travers le regard de fougère d’ Hélène pour me reduire dedans la dance de l’araignée, et d’après reconnaître, dans les rêveries d’un Don Quichotte qui erre solitaire pendant la nuit de Saint Laurent, balancé entre le surréalisme de Breton et le décadentisme de Wilde, l’apume mélancolique dans les yeux du Noir d’Hermes, «nella misura in cui, contrastando all’idea comune che me ne sono fatta, m’introduce in un mondo per così dire proibito: quello dei collegamenti improvvisi, delle coincidenze pietrificanti, dei riflessi più forti di qualsiasi altro impulso mentale, degli accordi risonanti come su un piano, dei lampi che ci metterebbero in grado di vedere, ma di vedere davvero, se non fossero ancora più rapidi degli altri. Certo, si tratta di fatti di valore intrinseco poco controllabile, ma che, per il loro carattere assolutamente inatteso, la loro violenta incidenza, e per il genere d’associazioni sospette che suscitano nel pensiero, un modo di farvi passare dal filo alla ragnatela, cioè a quella cosa che sarebbe la più scintillante e la più graziosa cosa del mondo, se non ci fosse in un angolo, o nei paraggi, il ragno; fatti che, quando anche fossero dell’ordine della pura constatazione, presentano ogni volta tutte le apparenze di un segnale, senza che si possa dire di quale segnale propriamente si tratti, e mi portano, in completa solitudine, a scoprirmi inverosimili complicità, facendomi sentire quanto sia in errore ogni qualvolta mi credo solo alla barra del timone. Occorrerebbe ordinare questi fatti secondo una gerarchia, dal più semplice al più complesso, a partire dall’impulso speciale, indefinibile, provocato in noi dalla vista di oggetti rarissimi, o dal nostro arrivo in determinati luoghi, accompagnati dalla nettissima sensazione che per noi qualcosa di grave, d’essenziale, ne dipende, sino alla scomparsa completa di ogni pace interiore che producono in noi certe concatenazioni, certi concorsi di circostanze che vanno assai al di là della nostra comprensione e non ammettono il nostro ritorno ad un’attività ragionata se non, nella maggior parte dei casi[1]», con un appello alla forma pura della bellezza che tuttavia va concedendosi raramente, quando non confortata dall’egida materna dell’arte il cui obiettivo non è la verità semplice, ma la bellezza complessa. «L’arte stessa è in realtà una forma di esagerazione e la scelta, che è lo spirito stesso dell’arte, non è niente di più di una maniera intensificata di super-enfasi[2]». Sarà così che mi coprirò di queste parole, ne farò fotografie e cataloghi, le installerò nella notte di S.Lorenzo all’interno di una rassegna d’arte contemporanea ospitata da un borgo medioevale disabitato e sperduto sotto una cascata di copiose coincidenze e rarefatte promesse, le conserverò nella grande scatola magica, indovinata macchina teatrale a forma di testa dalle molteplici velature e trasparenze contenente lo spazio scenico, simbolo efficace della mente di un Don Chisciotte errante sul necessario insulto dei suoi fantasmi. Ne subirò l’influenza e la sovranità, me ne farò scudo e falce, le lascerò come testimoni ancore alla fonte che mi parla, ne farò cadeaux al Rosso scrivendole sul verso di una cartolina raffigurante il Bianco. Arriveranno giusto, imbucate per mano di Hélène, il giorno in cui Le Rouge onorerà con gli intimi la ricorrenza dei suoi anniversari".

[1]André Breton; "Nadja"

[2]Oscar Wilde; "La decadenza della menzogna"

F.C.R.


 

 

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