MEMOIRES D'AMOUR

Scrittura drammaturgica

un copione teatrale di
Federico Caramadre Ronconi

registrazione S.I.A.E. Sez. D.O.R. 2003
Tutti i diritti riservati


Condizioni d'uso
Il testo è tutelato dalla S.I.A.E.
La messa in scena o l'utilizzo, in tutto o in parte, è subordinata alla dichiarazione presso un ufficio S.I.A.E. di zona
Riferimenti:
Titolo Composizione MEMOIRES D'AMOUR
Autore  FEDERICO CARAMADRE
Genere  OPERA PROSA
Data dichiarazione  06/05/2003
Codice Opera 131952

 

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Nota d'autore

Il testo che segue è la versione originale, ma non si tratta della prima stesura.
Deriva dalle scritture "Vitam Impendere Vero", del 2001, e "Storie", 2002, redatte per un uso teatrale e radiofonico.


Federico Caramadre Ronconi

 

Mémoires d’amour

riduzione e adattamento liberamente tratti dalle scritture

 

Vitam Impendere Vero

e

Storie

 

 

Scrittura drammaturgica per due monologhi

 

1. Una storia

2. Nessuno è innocente

 

Personaggi

 

GIADA

PETER

 

 

L'azione è ambientata in un luogo della memoria, o dell’immaginazione. Tutto è consentito.

 

SIPARIO

 

 

MUSICA. Delle figure attraversano lo spazio, dando corpo alla voce dei pensieri. Tra questi, Peter e Giada.

Voci pensiero:

 

Peter: Gli amori finiscono, ma forse è l'amore che non finisce mai.

Giada: Mi pensi?

Peter: Tu non sceglievi mai, lasciavi che le cose ti cascassero sulla testa! Eri come indifferente!

Giada: …Allora tanto varrebbe chiudere con il mondo, abdicare, ritirarsi, fuggire.

Peter: Quante cose bisogna dire per essere ascoltati quando poi alla fine…

 

Buio. Esce Peter

 

Luci. Giada si anima con piccoli movimenti.

 

1.

 

 

 

 

Giada (seminuda, rivestendosi, come se parlasse al suo lui): Io ho sempre provato pudore. No, non guardarmi così… Sì, fin da bambina provavo pudore della mia nudità. Ricordo che al mare, sulla sabbia, mentre tutte le mie amiche correvano spensierate e amoreggiavano con i ragazzi io ero distesa sull’asciugamani senza muovere un solo centimetro della mia pelle che fosse fuori dal mio controllo.

 

Si interrompe. Canta:

Si può fare, si può fare

Si può ridere e scherzare…

 

Avevo il terrore di scoprire qualcosa di me, di troppo intimo, di apparire volgare senza volerlo, di sentirmi nuda, nuda e indifesa di fronte a tutti. Smettila di fissarmi così, ti prego… Ero sempre pancia a terra, mi rassicurava.

 

Si interrompe. Canta ancora:

Si può fare, si può fare

Si può ridere e scherzare…

 

Quando si facevano dei giochi e bisognava sedersi era difficile che prendessi la parola, spesso ero più occupata a nascondere le dita dei piedi sotto la sabbia, sì, per pudore. Sì, lo so che a te sono sempre piaciuti i miei piedi, me li carezzavi tanto. Ma non ho mai superato veramente quel complesso, sai?! È tornato a galla, come se fosse stato solo a dormire per anni, più vivo di quando ero bambina. (Ride:) E più in là, da ragazza, quando è stato il momento di tutte quelle scarpe aperte poi, non ne parliamo. Era come pensare di mostrarmi nuda davanti al mondo, non le avrei mai indossate, a costo di sembrare fuori moda, fuori dal gruppo, sì, per l’ennesima volta, sì, anche da più grande.

 

Si interrompe. Canta:

Na na na na, na na na na,

…Si può ridere e scherzare…

 

Ho capito, ho un bel corpo, non devo vergognarmene, me lo dicevi sempre tu, non c’è niente di male, ma io mi sentivo indifesa, sì, indifesa è la parola giusta, non saprei come altro dire, e smettila di guardarmi a quel modo! Non capisci che mi fa male? (loop)

BREVE PAUSA

(ogni tanto torna come un loop ossessivo la registrazione voce pensiero di Peter: “era fresco quella mattina”)

Tutte le mie amiche avevano un ragazzo. Io no. Ero troppo timida, mi dicevo. E poi loro non avevano problemi a mostrare i piedi, a mostrarsi. A me invece dava noia persino vedere i piedi nudi degli altri, e mi dava fastidio guardare come portavano a spasso quelle orride falangi senza pudore, con quei sorrisi ostentati, come se niente fosse, come se loro non sapessero di essere nude, e brutte, no, repellenti, sì, per loro era normale, così schifoso da dare il rigetto. Eppure l’occhio mi ci cadeva sempre, lì, sui piedi degli altri, come una calamita, non potevo farci niente, era più forte di me. Che orrore! MUSICA.

Poi sei arrivato tu, con quel tuo modo da maschio un po’ impacciato. Dio mio, che tenerezza!

Ricordi quella volta, in riva al mare?! (loop) Avevi deciso di partire, dicevi che dovevi farlo perché era una giusta causa, ma io non volevo, e per il tuo amico, com’è che lo chiamavi, greco?! (loop) Sì, ero contrariata, e tu d’improvviso ti sei girato e hai iniziato ad accarezzarmi i piedi, così, senza nessun preavviso. Come la prima volta: Dio, che imbarazzo! Ma solo all’inizio, eh sì, perché non so come, ma ti ho lasciato fare, e mi piaceva, e mi pareva bello… le tue mani, roba che stentavo a crederci io stessa. Dio, non potevo pensare che stesse succedendo proprio a me! Fu... sorprendente. Questa è la parola giusta, non possono essercene altre: sorprendente. E poi… Tutta la complessità di sottili dinamiche psicologiche superata dal fare di quelle mani. E diventava poesia. (loop) Quelle erano mani che avevano un'anima bella! (loop) Ma quella volta lì, quel giorno al mare, prima che partissi… (loop) Tu: un abito di uomo dallo sguardo smarrito. Perso. (loop)

“Legami a te, per favore, legami, non lasciare che io scappi ancora una volta…” Le tue parole, ricordi? Poi sei scappato il più lontano possibile: in guerra. La tua ultima lettera, mi parlavi di Parigi, dei nostri ricordi, di qualcuna simile a me… poi il nulla. Eravamo così giovani. Oramai non sei che un fantasma… Il m’a dit hier / qu’il m’aimait - Il n’a pas ajouté / que c’était pour toujours... Sei l'unico uomo fino ad oggi per cui avrei dato la mia vita, ma non serve essere disposti a dare la vita per qualcuno se questo non è quello che lui ti chiede.

Dei tuoi “ti amo” ho sempre sentito la mancanza. Una donna ha bisogno di sentirselo dire. Hai sempre avuto uno strano rapporto con le parole, per te rappresentavano un mondo, e avevi paura di sprecarle. Per me erano parole e basta. Che non c’erano più, svanite, insieme a te.

Ti prego, non guardarmi più. Adesso è ora che te ne vada per sempre, anche dai miei pensieri.

Canta:

Si può fare, si può fare

Si può ridere e scherzare…

Si può fare, si può fare

Sai si può ricominciare….

 

 

Esce

 

2.

 

Peter: Io non avevo nessuna voglia di andare. Ma quando ho saputo quello ch’era successo laggiù… Il sangue ha lo stesso colore in tutto il mondo.

(su base con effetti audio:) Se solo avessi potuto vedere quei posti. Noi andavamo a farci la guerra, con te saremmo potuti andare per un viaggio. Ti piaceva così tanto viaggiare… Mi hai lasciato prima di tutti gli altri… Alla cerimonia il sacerdote ha detto che la morte non è che un inizio, l’inizio di una nuova vita, la vita eterna, e che di là ci ritroveremo… Ci sarai davvero? È davvero questa la verità?

A Parigi, quel museo tutto di legno, ricordi?! Ti sei fermata, fissa, in piedi, davanti a quella vetrina. Il cachet di Jean Jacques Rousseau e un lapis, una matita, quella frase annotata: “consacrare la propria vita alla verità”. Era latino, ma tu lo capivi. Quella frase ti aveva come ipnotizzata, ricordi?! Sì, ma qual è la verità? La verità è che morte porta morte, e che non vedrò più il tuo sorriso, e che per riscattarlo sono partito con un’arma in pugno, e con quella è come se ti avessi uccisa per la seconda volta… Vitam impendere… Nessuno è innocente.

Era fresco quella mattina, l’aria era così tersa che si poteva vedere fino a valle. C’era un villaggio, giù in fondo, e da alcuni fabbricati saliva ancora il fumo. Dovevamo scortare gli ufficiali dell’ultimo contingente che si ritiravano insieme ai diplomatici e ad altri rappresentanti di un po’ tutte le parti. Il greco era in testa alla colonna, io quasi in coda, e dietro di me gli ultimi carichi della croce rossa internazionale. Tutt’intorno era calmo. Non si sentiva un solo scoppio, non uno sparo, nessuna granata, nessun grido. Avevo per la prima volta la sensazione che tutto fosse davvero finito. I visi erano distesi, tanto che avevo dimenticato l’ultima volta che avevo visto su qualcuno tanta serenità, tanta pace. Era bello, davvero. Ci fermammo lungo un pendio. La testa della colonna arrestò il convoglio sulla curva di un tornante interrotto, una frana. Era un imbuto. Ci fu un boato. Fu una strage. Sembrava fossero dappertutto. Era incredibile, la zona era stata bonificata da settimane invece quelli sembravano essere dietro ogni albero. Alcuni riuscirono a scendere, e furono decimati. Altri rimasero intrappolati sui mezzi. Non capivo più niente. Dietro di me un mezzo della croce rossa esplose schizzando schegge dappertutto. Mi riparai sotto un carro. Quando sporsi la testa vidi il greco che sparava verso di me. Un corpo mi cadde vicino. Stava per uccidermi. Allora mi feci coraggio e mi tirai fuori carponi, in tempo per vedere un altro che puntava dritto il greco che nel frattempo sparava altrove. Afferrai la pistola, ma non feci in tempo. Quello sparò, e un commilitone vicino al greco cadde a terra, era poco più che un ragazzo. Poi sentii un sibilo, e un altro, e un altro ancora. E tutt’intorno nel bosco fu fuoco, e fiamme, e caldo infernale. Erano gli elicotteri, i nostri. E quelli che stavano più vicino alla colonna che scappavano come meglio potevano. Compreso quello che aveva tentato d’ammazzare il greco. Potevo vederlo inoltrarsi su tra gli alberi in un corridoio risparmiato dalle fiamme. Sparai. Aveva la tua età, ed era così bella! Quando le scoprii il viso per vedere da vicino la faccia del bastardo che aveva sparato a quel ragazzo e che ero riuscito a fottere mi si gelò il sangue. Ti giuro, amore mio, peggio di una lama in gola, peggio di mille torture, peggio, peggio ch’essere infilati da parte a parte, peggio che morire di tradimento, peggio, peggio che pisciare sangue.

Era lì, bella come una miss patinata, che moriva sotto i miei occhi, così simile a te da uccidermi con il solo sguardo, mentre si teneva le budella con le mani tutte insanguinate, come per trattenerle dentro di sé, sì, era lì, che stava morendo per causa mia, e prima di chiudere gli occhi mi sorrise. Sì, ti assomigliava, e mi sorrise, di un sorriso sincero, e fu come se m’avesse ucciso lei, per la seconda volta. Quel giorno piansi, e ti pensai. Immaginai di vederti in quel momento lì, mentre te ne stai andando, mentre sorridi a un nemico che ha la mia stessa età, e che ti ha uccisa, come t’ho ammazzata io uccidendo quella donna, lasciandomi morire per la seconda volta…

SI COMMUOVE

Mi manchi. Amore mio mi manchi. Lo vuoi capire o no? Vuoi capirlo o no? Mi manchi.

Sì, sì, dico sul serio, sì sul serio, mi manchi, ti voglio, ti desidero, vorrei tu fossi qui anche se non ci sei, vorrei sfiorarti, sentirti vicino, girarmi e poterti vedere, vorrei poter allungare la mano e carezzarti, vorrei baciarti tutto il tempo, sì, tutto il tempo, ho bisogno di stare con te, ho bisogno di te, ho bisogno di addormentarmi, addormentarmi con te, dimenticare la tua mancanza e sognare che quest’incubo sia solo un brutto sogno.

 

BUIO

 

 

SIPARIO

 


Federico Caramadre 2002
www.federicocaramadre.com

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